Solitudine

          La vera solitudine la conobbi in quei giorni e quegli anni a Wellawhata. Per tutto quel periodo dormii su una brandina da campo come un soldato, come un esploratore. Non ebbi altra compagnia che un tavolo due sedie, il mio lavoro, il mio cane, la mia mangusta e il boy che mi serviva e la sera tornava al suo villaggio. Quest’uomo non era propriamente una compagnia; la sua condizione di servitore orientale l’obbligava ad essere più silenzioso di un’ombra. Si chiamava, o si chiama Brampy. Non era necessario ordinargli nulla, perché provvedeva a tutto: la colazione sul tavolo, il vestito appena stirato, la bottiglia di whisky sulla veranda. Sembrava che si fosse dimenticato della lingua. Sapeva solo sorridere con grandi denti da cavallo.
            La solitudine in questo caso non si riduceva ad un tema di invocazione letteraria ma era qualcosa di duro come le pareti della cella di un prigioniero, contro cui puoi romperti la testa senza che venga nessuno, per quanto tu grida e pianga.
            Io capivo che attraverso l’aria azzurra, la sabbia dorata, al di là della foresta primordiale, al di là delle vipere e degli elefanti, c’erano centinaia, migliaia esseri umani che cantavano e lavoravano vicino all’acqua, che accendevano il fuoco e modellavano vasi; e anche donne ardenti che dormivano nude sulle stuoie sottili, alla luce delle immense stelle. Ma, come avvicinarmi a questo mondo palpitante, senza essere considerato un nemico.

(tratto da “Confesso che ho vissuto di Pablo Neruda)

Solitudineultima modifica: 2006-01-10T19:20:00+01:00da milfer
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